La depressione non come patologia...
- dott. Rodolfo Vittori

- 17 set
- Tempo di lettura: 3 min
... ma come strategia di sopravvivenza

Per molto tempo, e ancora oggi è così, abbiamo considerato la depressione come una malattia da eliminare. Un errore di funzionamento della mente, una sorta di guasto emotivo. L’idea ha senso, perché la depressione porta sofferenza, isolamento e talvolta pensieri di morte. Oggi però alcuni ricercatori suggeriscono che potremmo averla letta in modo troppo riduttivo. Forse la depressione non è sempre un’anomalia, ma una strategia del corpo per proteggerci nei momenti più duri.
Una nuova prospettiva
La British Psychological Society ha pubblicato un rapporto in cui afferma che la depressione non dovrebbe essere vista soltanto come una malattia, ma come un insieme di esperienze. Antropologi e neuroscienziati stanno aprendo nuove strade di ricerca. Secondo questa visione la depressione non è un semplice errore del cervello, ma una risposta adattativa alle avversità.
La teoria polivagale, proposta dal neuroscienziato Stephen Porges, aiuta a capire questo cambio di prospettiva. Il nostro sistema nervoso autonomo regola costantemente come ci sentiamo e come reagiamo. Quando ci sentiamo sicuri, viviamo in uno stato di apertura, con energia e voglia di relazionarci, quando invece il corpo percepisce un pericolo, anche se non sempre cosciente, attiva la modalità “lotta o fuga”. Se la minaccia è troppo grande o troppo duratura, l’unica possibilità che rimane è quella di immobilizzarsi.
La risposta di immobilizzazione
Questa risposta, che negli animali aumenta le possibilità di sopravvivere a un predatore, negli esseri umani si manifesta con sintomi che conosciamo bene, come stanchezza, perdita di interesse, vuoto interiore. In altre parole, depressione. Non è una scelta volontaria, né un segno di debolezza. È un meccanismo di difesa antico.
Un esempio aiuta a capire. Laura (nome di fantasia), una mia paziente, racconta di aver vissuto un’infanzia segnata dalla violenza del padre. La depressione, con il suo abbassare i pensieri e ridurre la ribellione, l’ha protetta. Ha reso possibile la sopravvivenza in un contesto in cui resistere apertamente sarebbe stato pericoloso. Anni dopo, in terapia, Laura ha compreso che la sua depressione non era stata un difetto, ma una strategia del corpo per permetterle di arrivare viva all’età adulta.
Una difesa che diventa trappola
Naturalmente questo non significa che la depressione sia qualcosa di positivo. Non è mai piacevole sentirsi spenti, senza energie, incapaci di progettare. La risposta di immobilizzazione, utile a breve termine, diventa un problema quando si prolunga. Il corpo resta bloccato in uno stato di sopravvivenza anche quando la minaccia non c’è più. È come se il sistema di allarme restasse acceso e continuasse a suonare, anche in una casa ormai vuota.
Il ruolo della connessione sociale
Secondo Porges, non basta eliminare la minaccia per uscire dalla depressione. Serve che il sistema nervoso percepisca segnali di sicurezza. Il modo più potente per ritrovare sicurezza è la connessione sociale. Stare con persone che ci accolgono, sentirsi parte di una rete di affetti, essere ascoltati senza giudizio, sono tutti stimoli che ridanno fiducia al sistema nervoso e lo aiutano a riattivare la spinta vitale.
Il paradosso è che la depressione porta con sé vergogna e senso di esclusione. La persona depressa tende a isolarsi, proprio quando avrebbe più bisogno degli altri. Per questo è fondamentale che la società smetta di etichettare come difettose le persone che soffrono di depressione. Non si tratta di persone fragili o sbagliate, ma di sopravvissuti che hanno usato al massimo le risorse biologiche disponibili.
Cambiare sguardo
Vedere la depressione come una strategia di difesa non significa negarne la gravità. Significa però ridurre la colpa e la vergogna che spesso si aggiungono alla sofferenza. Permette di guardare chi soffre non come un malato da riparare, ma come una persona che ha attivato un sistema biologico per far fronte a condizioni difficili. Il passo successivo è accompagnarla a ritrovare sicurezza, vitalità, fiducia.
Conclusione
La depressione resta un’esperienza dolorosa, ma può essere letta come il tentativo del corpo di salvarci quando non vede alternative. Questa visione non elimina il bisogno di cure psicologiche e mediche, ma ci ricorda che chi soffre non è rotto. È un essere umano che sta cercando di sopravvivere. Accettare questa verità significa offrire più speranza, meno stigma e più possibilità di guarigione.
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Riferimenti bibliografici
Porges S. (2017), La teoria polivagale, Giovanni Fioriti Editore.
British Psychological Society (2020), Understanding Depression. Why adults experience depression and what can help
Gilbert P. (2010), Compassion Focused Therapy, Erickson
Kirmayer L.J., Raikhel E. (2009), From Amrita to Substance: Depression as a Cultural Syndrome, Transcultural Psychiatry.




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