Famiglie che feriscono e...

... famiglie che nutrono

Nell’infanzia nessuno di noi sceglie il terreno in cui crescere. Ci si trova dentro ad un paesaggio già tracciato. Alcuni bambini ricevono carezze, riconoscimento e libertà di esprimersi, altri invece abitano in contesti duri, dove l’amore arriva confuso, pieno di condizioni o addirittura nascosto dentro parole tossiche. Per un bambino non esiste possibilità di fuga. Non può dire “qui non sto bene”, cambio famiglia. Non può trasferirsi altrove. L’unica strada è adattarsi.

Questa capacità di adattamento è una risorsa straordinaria per la sopravvivenza ma ha un costo alto. Molti imparano a rimpicciolirsi, a ridurre la propria voce e i propri desideri pur di rientrare nello spazio che viene concesso. Alcuni arrivano a ferire se stessi perché interiorizzano l’idea di valere poco. Un bambino cresce convinto di essere ciò che gli altri gli rimandano. Se lo sguardo che incontra è svalutante rischia di costruire un senso di sé fragile e colpevole. Non si sente amato per ciò che è ma solo per ciò che riesce a fare per compiacere gli altri.

L’eredità emotiva

Queste esperienze lasciano segni che arrivano fino all’età adulta. Un adulto cresciuto in un terreno povero di riconoscimento può sentirsi insicuro nelle relazioni. Può oscillare tra la ricerca continua di approvazione e la paura costante di essere rifiutato. In psicologia si parla di attaccamento insicuro. Non significa essere condannati per sempre a ripetere gli stessi schemi ma vuol dire che la base di partenza non è stata solida.

Molti pazienti raccontano di sentirsi di troppo, anche dopo anni. È come se la voce critica interiorizzata da bambini continuasse a sussurrare che non valgono abbastanza. Questo non è un difetto personale, ma è il risultato di un contesto che non ha saputo riconoscere i loro bisogni.

La libertà di scegliere

Diventare adulti offre però una possibilità nuova. Da bambini non si poteva decidere, ma da adulti sì. Da adulti possiamo costruire legami che ci accolgono per ciò che siamo. La parola “famiglia” non deve restare chiusa dentro la definizione biologica, perché una vera famiglia è fatta dalle persone che ci fanno sentire al sicuro, non da quelle che ci chiedono di rinunciare a parti essenziali di noi.

Scegliere la propria famiglia è un atto di libertà. Significa riconoscere che meritiamo di abitare luoghi sicuri. Significa dire a noi stessi che non siamo sbagliati se vogliamo stare accanto a chi ci incoraggia invece che a chi ci giudica. In alcuni casi questa scelta porta a confini netti. Non per cancellare le proprie origini ma per proteggere la parte più viva di sé.

La costruzione di confini

Molte persone vivono questo passaggio con sensi di colpa. È normale. La cultura ci ha insegnato che la famiglia va rispettata in ogni caso. La psicologia però mostra che restare in rapporti tossici non è rispetto ma autoannullamento. Costruire confini non significa odiare. Significa riconoscere i propri limiti e proteggere la propria salute mentale. È un gesto di responsabilità verso se stessi e verso chi ci sta accanto.

Un confine può assumere la forma di una distanza fisica o emotiva. Può voler dire vedere meno alcune persone oppure non condividere più aspetti intimi della propria vita. Ogni scelta dipende dal livello di tossicità del legame e dalla forza di chi lo vive.

Un nuovo inizio

Chi cresce in famiglie rigide o svalutanti non è condannato a sentirsi sbagliato per sempre. Può costruire legami nuovi. Può trovare nella coppia, nelle amicizie, nelle comunità di affini, quello spazio di accoglienza che non ha mai conosciuto. Non si tratta di sostituire i genitori ma di completare ciò che è mancato.

Alla fine la vera libertà sta nel riconoscere che il passato non si può cambiare. Quello che si può cambiare è il presente. Possiamo scegliere oggi con chi stare, chi ascoltare, chi lasciare entrare nel nostro mondo. Non è un atto di egoismo ma di cura. Una cura che ridà peso a quella parte di noi che nessuno aveva mai visto davvero.

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Se senti il bisogni di lavorare sulla tua autostima e sui sensi di colpa o di vergogna, non esitare a contattarmi.

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Riferimenti bibliografici

Bowlby J. (1989), Una base sicura, Cortina.

Liotti G., Farina B. (2011), Sviluppi traumatici, Raffaello Cortina.

Winnicott D.W. (1965), Sviluppo affettivo e ambiente, Armando.

Siegel D. (2012), La mente relazionale, Raffaello Cortina.