Genitorialità: Ascoltami adesso, così ti parlerò domani...
- dott. Rodolfo Vittori
- 21 mag
- Tempo di lettura: 3 min
... l’importanza dell’ascolto fin dall’infanzia

“Siamo nati per essere felici, ma troppo spesso ci distraiamo” ...
... e niente ci distrae di più di quella voce che, anziché ascoltare, commenta. Giudica. Corregge. Con i figli, questo meccanismo può risultare devastante.
Nel mio lavoro clinico sulla genitorialità, incontro spesso genitori affranti perché “i miei figli non si aprono con me”, “non mi raccontano nulla”, “non so cosa pensano davvero”. Ma scavando un po’, emerge un dato ricorrente e sconcertante, perché questi bambini, oggi adolescenti silenziosi, ieri sono stati bambini a cui non è stato insegnato che valeva la pena parlare. Non perché non ci fossero parole, ma perché non c’era ascolto.
L’ascolto inizia prima delle parole
Molti genitori pensano che l’ascolto inizi quando il figlio “dice qualcosa di sensato”. Ma l’ascolto vero comincia molto prima. Inizia quando un bambino piange perché ha male alla pancia, da quando dice “non voglio andare all’asilo”, da quando esita prima di buttarsi nel gioco con gli altri.
Troppo spesso queste espressioni vengono scambiate per capricci, debolezze, manipolazioni. E allora si parte con la spinta: “Fallo per forza”, “Sii un uomo”, “Devi imparare a stare al mondo”. Ma il mondo di un bambino non ha ancora le difese di un adulto. Un bambino di cinque anni non ha bisogno di essere spronato a essere un uomo, ha bisogno di essere visto, contenuto, riconosciuto.
Le ferite silenziose del non ascolto
Cosa succede quando non ascoltiamo davvero un bambino? Succede che quel bambino impara che le sue emozioni non valgono. Che se prova paura o disagio, è meglio tacere. Che se chiede aiuto, riceverà un giudizio. E allora il silenzio diventa protezione.
Un giorno, quel bambino diventerà un adolescente che non racconta nulla. Un ragazzo che tiene tutto dentro. Un adulto che non sa dare un nome a ciò che prova. E spesso i genitori si sentono esclusi, senza capire che hanno costruito, magari inconsapevolmente, quel muro, un mattone alla volta, ogni volta che hanno detto “non è niente”, “non piangere”, “devi essere un ometto forte”.
Ascoltare è un atto di presenza
Ascoltare davvero significa stare. Non rispondere subito. Non interpretare. Non correggere. Significa essere curiosi del mondo interno del bambino, anche quando sembra scomodo o incomprensibile.
Un bambino che dice “non voglio andare a scuola” non va spinto a forza sulla porta. Va accolto nella sua emozione, accompagnato nel dare un significato a quel malessere. “Che cosa ti fa paura?”, “C’è qualcosa che ti preoccupa oggi?”, “Come si sente la tua pancia adesso che ne parliamo insieme?”
Sono domande semplici. Ma rivoluzionarie. Perché insegnano al bambino che le emozioni si possono raccontare. E quando le emozioni si possono raccontare, non hanno più bisogno di gridare.
L’ascolto costruisce fiducia
Quando un bambino si sente ascoltato, sviluppa un senso di sé forte e sicuro. Impara che può avere voce. Che può essere fragile e, allo stesso tempo, amato. Questo è il fondamento dell’autostima.
E soprattutto, ascoltare i bambini oggi è un investimento per il futuro. Perché se li ascolti quando ti raccontano dei mostri sotto il letto, ti parleranno anche dei mostri dentro di loro quando avranno sedici anni.
Conclusione
Non c’è bisogno di essere genitori perfetti. Ma possiamo scegliere di essere genitori presenti. Ascoltanti. Curiosi. È un cambiamento culturale, prima ancora che educativo.
E allora, la prossima volta che tuo figlio ti dice “non voglio andare a scuola”, prova a non rispondere. Prova a chiedere. Prova a stare. Perché in quel momento, non stai solo ascoltando una frase. Stai costruendo una relazione. E quella relazione, un giorno, sarà la sua ancora.
Se hai bisogno di capire come costruire una relazione efficace con i tuoi figli, non esitare a contattarmi.
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Riferimenti bibliografici
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