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La sindrome della capanna

Aggiornamento: 6 ago 2021

Questa settimana è iniziata la Fase 2 dell’emergenza Covid-19. La maggior parte delle persone ha iniziato a muoversi nuovamente, molti negozi ed attività sono stati riaperti e per molti è iniziato nuovamente il tran tran lavorativo, che significa spostamenti, vita sociale e relazioni. Dopo questo periodo di isolamento forzato, però, per molte persone che hanno vissuto sotto stress, ma che sono riuscite a gestire bene il confinamento, dedicando tempo a se stessi, ai propri cari e ai propri hobby , il ritorno alla normalità può generare molto più stress.

Si è atteso a lungo la possibilità di tornare ad una vita normale, scandita dai ritmi abituali, ma quando questa si inizia ad intravedere, qualcuno scappa. Dopo questi mesi di quarantena alcune persone vivono l’ansia di riprendere i ritmi precedenti, c’è paura ad uscire e, magari, per qualcuno, c’è stata la scoperta della vita in casa. Di un modello di vita che non è poi tanto male come si pensava all’inizio. Le case, in questo periodo, sono diventate un rifugio, da una parte sono state un luogo sicuro per proteggersi dal coronavirus, dall’altro ci hanno tenuto lontani dal mondo, dalla routine quotidiana che quasi sempre è fonte di stress.

Il ritorno alla normalità, pertanto non è gradito da tutti, come ci si aspetterebbe. La pressione di dover riprendere la routine quotidiana, di buttarsi nuovamente nel mondo può creare forti disagi. Noi viviamo nella società del fare. Dobbiamo sempre fare qualcosa, lavorare, produrre sempre. L’isolamento ha permesso alle persone di conoscere un’altra faccia della vita. Quasi tutti hanno avuto maggiore tempo per se stessi, per la famiglia o per gli altri interessi, che nelle altre fasi della vita erano relegati a parte dei fine settimana o alle ferie. Per questo motivo, molti possono essere riluttanti a ritornare alla frenetica vita precedente.

L’isolamento è una situazione difficile, stressante, ma la capacità di adattamento dell’uomo permette di contrastare la situazione e di sopravvivere al confinamento. Si tratta sempre di una questione di abitudini. Lo abbiamo scritto più volte. La vita dell’uomo è un insieme di abitudini e, buone o cattive che siano, si fa una grande difficoltà a cambiarle. E questo è successo. Alcune persone hanno affrontato la situazione mal volentieri, ma poi si è abituato alla nuova routine e a ritmi differenti da cui ora, ugualmente, ha paura di modificare.

In questo caso si parla di “sindrome della capanna”, perché, dopo un lungo isolamento, si cerca di evitare il contatto con l’esterno, vivendo la propria abitazione come un luogo protetto. Questo termine è stato coniato in quelle regioni del Nord America, nelle quali, a causa dell’inverno rigido, gli abitanti sono costretti a vivere in una sorta di letargo. Questa sindrome è stata studiata in persone che hanno trascorso lunghi periodi di ricovero in ospedale oppure sono stati in prigione. Queste persone perdono la sicurezza e temono il mondo al di fuori.

La forte situazione di stress, che si trasforma in ansia, deriva principalmente dal senso di inadeguatezza causato dal disagio di non riuscire ad affrontare una situazione che prima era percepita come la normalità. La domanda che ci si pone è come mai prima si riuscisse tranquillamente ad uscire di casa e questo possibilità, adesso, crei delle paure.

Il motivo è che le persone sono state sottoposte ad un evento stressante che, nel bene o nel male, ha modificato il loro modo di comportarsi, di vedere le cose. Pur trattandosi di una modifica temporanea, la situazione è stata eccezionale e, soprattutto, collettiva e adesso, il timore di uscire di casa è una delle reazioni più comuni, riscontrabili anche in persone che sono emotivamente equilibrate.

Si tratta di una situazione temporanea e transitoria, rafforzata dalla paura di aver perso i propri riferimenti abituali, di vedere i negozi chiusi, la città deserta, le persone che girano con la mascherina. La nuova realtà è impattante, può disorientare e causare reazioni di rifiuto, senza aggiungere, in alcuni soggetti, la residua paura di contrarre il contagio. Questo porta all’innesco di una spirale negativa, meno si esce, più aumenterà il disagio al pensiero di dover uscire.

L’importante è cercare di affrontare le proprie paure, iniziando lentamente a riprendere la vita di prima, a riabituarsi al tran tran quotidiano e lavorativo e, se la situazione dovesse aggravarsi, sarà bene contattare un professionista che fornirà gli strumenti utili per superare questa situazione.


 

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